L’Operaccia Satirica della scorsa stagione fa una sacrosanta evoluzione. Come quella, senza rete.
Un comico in terapia con la sua psicologa e i due fidi musicanti – che gli fanno dal vivo da colonna sonora sia nella vita che sul palco – confessa i suoi lati oscuri e onora il ricordo romanzato e l’eredità dei suoi maestri. Tutto davanti al suo pubblico.
Improvvisando il suo passato, per ricordarsi il suo e l’altrui presente. Con l’incasso pagherà la psicologa, oltre ad altri debiti per varie ed eventuali questioni in questi tempi difficili. Chi è capace di narrare storie ha il potere di governare il mondo, che sia una nazione, un condominio, una famiglia o una coppia.
Le operacce satiriche sono creazioni stravaganti che nascono da diverse ispirazioni: la lettura dei grandi classici letterari che vengono trasformati in buffe composizioni, episodi “rubati” dalla vita vissuta e dal mio personale repertorio poi rielaborati e trasformati in poesie comiche che, grazie all’accompagnamento musicale, si tramutano in una canzonaccia popolare.
Il linguaggio è scorretto, variegato, ricco di storpiature, parole e suggestioni strane, ma facilmente comprensibili per tutti. Rimangono fondamentalmente delle storie: noi ci sforziamo di raccontarle al meglio per combattere il senso di disorientamento e smarrimento che proviamo pensando a come è governato il mondo che viviamo.
Se si smarrisce la strada, l’unica direzione è perdersi nelle nostre storie… Cantando, ridendo, ballando e ridendo ancora, e sarà proprio così che ci ritroveremo. Ad ogni modo, si ride. Tanto.